Ghetto ebraico di Reggio Emilia: I luoghi della memoria
Se venite a Reggio Emilia e fate una passeggiata in centro, alla ricerca di luoghi caratteristici con una memoria storica importante, vi consiglio di fare visita all’ex ghetto ebraico a due passi dalla piazza dei teatri Valli e Ariosto.
Nella città di Reggio passò un secolo prima che venisse messa in pratica la bolla di Papa Paolo IV, che ordinava l’apertura dei ghetti in tutte le province sotto lo Stato pontificio.
In questo mio articolo voglio richiamare la vostra attenzione sui seguenti temi:
- Nascita del ghetto ebraico a Reggio Emilia
- Istoreco di Reggio Emilia e i progetti legati alla memoria del popolo ebraico
- Passeggiata a piedi nei luoghi della storia ebraica a Reggio Emilia
Nascita del ghetto ebraico di Reggio Emilia
I primi insediamenti della comunità ebraica si ebbero a Reggio Emilia già dall’inizio del XV secolo, le famiglie islamiche ottennero dal senato di città il permesso di esercitare il prestito di denaro ad interesse, vietato ai cittadini cristiani.
Dopo la cacciata degli Ebrei sefarditi dalla Spagna nel 1492, una buona parte di loro si riversò nella nostra penisola soprattutto nelle terre estensi, nelle quali vi era un clima di estrema tolleranza nei confronti degli Israeliti.
In tutte le città del ducato il popolo ebraico portò notevole accrescimento economico, le attività svolte nella città di Reggio Emilia, oltre al prestito, erano basate sul commercio, sull’oreficeria, sulla tipografia, sulla produzione tessile e di granaglie.
Alcune curiosità inerenti la Reggio Emilia storica potete trovarle nell‘articolo del mio blog che parla delle origini della mia città.
Gli Ebrei erano perfettamente inseriti nel tessuto cittadino, ma nel 1673 per volere della duchessa Laura Martinozzi nacque il ghetto.
Gli Ebrei reggiani, furono così obbligati a trasferirsi in abitazioni anguste, nelle strette vie malsane del centro storico.
Le vie in questione erano cinque tutte parallele tra di loro, che dalla via Emilia Santo Stefano si spostavano all’altezza del Teatro Ariosto e si chiamavano: Via San Rocco, Via Caggiati, Via della Volta, Via dell’Aquila e via Monzermone.
Rinchiusi come topi di notte, alle prime luci del giorno potevano uscire dal ghetto per svolgere i loro lavori, ma dovevano indossare obbligatoriamente un segno di riconoscimento.
A Reggio Emilia fu scelto il nastro rosso, legato al cappello per gli uomini e in vita per le donne.
Potevano godere anche di una relativa autonomia: avevano il proprio governo, un tribunale rabbinico, l’ospedale all’altezza dell’Isolato San Rocco al civico 14, la Sinagoga maggiore in via dell’Aquila 3/A, la foresteria, le scuole e il centro di assistenza.
Nell’Ottocento con la creazione della Repubblica Cispadana e l’arrivo di Napoleone in Italia (che cacciò i duchi d’Este), i portoni del ghetto furono abbattuti e cadde l’obbligo di risiedere in esso.
Nel 1938 una seconda disgrazia si abbatté sul popolo islamico, furono approvate le leggi per la difesa della razza fortemente richieste dal regime fascista, che obbligarono molti Ebrei a fuggire all’estero o ad isolarsi.
Durante gli anni della Seconda guerra mondiale e del regime nazi-fascista molti Ebrei rimasti in città vennero arrestati e deportati nei campi di concentramento per poi essere uccisi nelle camere a gas.
Nel 1943 come riporta la lapide posta sulla facciata della Sinagoga di via dell’Aquila, nove ebrei reggiani furono deportati ad Auschwitz.
Alcuni Ebrei riuscirono a fuggire trovando rifugio soprattutto nelle montagne reggiane.
Dopo la guerra, la comunità ebraica reggiana si unì a quella modenese.
Istoreco di Reggio Emilia e i progetti legati alla memoria del popolo ebraico
Istoreco (Istituto per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea), di Reggio Emilia, in collaborazione con alcuni studenti degli istituti locali ha realizzato il bellissimo progetto “viaggi della memoria”.
Una ricerca condotta in modo meticoloso attraverso interviste e sopralluoghi, ha portato al rinvenimento di almeno 50 nominativi di Ebrei vissuti a Reggio Emilia e provincia, alcuni dei quali liberi e vivi dopo la persecuzione.
A completare l’opera arrivano anche in Italia le pietre d’inciampo…
Piccoli blocchi di ottone di 10X10 cm incastonati al suolo, la cui definizione “inciampo” si vuole intendere non tanto come l’atto fisico, bensì come quello visivo e mentale di riflessione, di chi vi passa vicino o si imbatte, anche casualmente, nell’opera.
Le pietre riportano il nome, cognome, la data di nascita, l’anno di deportazione, il luogo e la data di assassinio della vittima.
Nate dall’idea dell’artista berlinese Gunter Demning, sono state installate davanti alle case nelle quali vivevano le vittime della persecuzione nazi-fascista e davanti alle quali vennero arrestate.
L’incredibile iniziativa partita da Colonia in Germania nel 1992, si è diffusa in 20 paesi europei, per un totale di 60.000 pietre installate.
A Reggio Emilia e provincia ne sono state posate 50 tra il 2015 e il 2018.
Per maggiori informazioni, consiglio di consultare il sito molto articolato ed esaustivo di Istoreco.
Percorso lungo i luoghi della memoria
Il percorso che vado a descrivervi è molto interessante da compiere e ha un tempo di percorrenza a piedi di circa 1 ora, da fare sicuramente appena arriva la bella stagione, volendo si potrebbe compiere anche in bicicletta.
Punto di partenza, il cimitero della Canalina.
È necessario precisare che prima dell’editto napoleonico la città di Reggio Emilia aveva cinque importanti cimiteri ebraici, uno di questi era posto all’interno del ghetto come detto in precedenza.
Il cimitero della Canalina invece fu inaugurato nel 1808 e suddiviso in due comparti.
Aperto al pubblico solo durante alcune ricorrenze, è un luogo nel quale è possibile trovare molte tracce della cultura ebraica.
Da qui, passando per il ponte ciclopedonale di San Claudio, si raggiunge via Cecati e il cimitero monumentale, in prossimità del quale all’angolo tra via Cecati e Via Pariati troviamo un piazzale con un’intitolazione dedicata a tutti i tipi di discriminazione razziale.
Iniziamo da qui il nostro percorso dirigendoci verso Villa Corinaldi, giunti su Viale dei Mille (circonvallazione), si volta a destra e si prosegue fino a Porta Castello e da lì a sinistra per Viale Monte Grappa.
- Villa Corinaldi:
In questa villa, posta al n.18 di Viale Montegrappa, vissero le tre figlie nubili di un negoziante del centro di Reggio.
Ada, Bice e Olga Corinaldi furono prelevate dalla villa il 4 dicembre del 1943 e portate alle carceri di San Tommaso.
Da qui vennero poi insieme ad altri Ebrei, il 18 febbraio 1943, condotte nel Campo di concentramento di Fossoli di Carpi (MO), morirono lo stesso mese ad Auschwitz.
- Carcere di San Tommaso:
Da via Montegrappa proseguiamo imboccando via San Girolamo, attraversiamo la via Emilia e risaliamo via Campo Samarotto, prendiamo a sinistra per via Dante Alighieri e poi ancora a sinistra per via Roma.
Di fronte alla chiesa di San Giacomo raggiungiamo via delle Carceri al civico 2.
In quello che anticamente era un convento del Corpus Domini si erge il carcere, che al suo ingresso ha un registro riportante la descrizione fisica dei prigionieri ebrei che qui furono rinchiusi.
Oggi l’ex carcere è sede decentrata dell’Archivio di Stato, ed io mi chiedo sempre quando entro in molti di questi luoghi diventati pubblici e sede di istituzioni: si percepirà qualcosa lavorando ogni giorno all’interno di posti che hanno visto tante atrocità?
- L’ex ghetto ebraico:
Riattraversiamo via Roma e proseguiamo dritto verso via Sessi, dopo l’ex Palazzo delle Poste, ora Palazzo Busetti, si prosegue per via San Rocco.
Qui era collocata, prima dell’apertura del ghetto, una porta di entrata alla città.
Incontriamo subito via Monzermone, la percorriamo fino ad arrivare al civico 6, abitazione nella quale il 4 dicembre del 1943, vennero catturate Beatrice Ravà e le sue due figlie.
Al civico 8 viveva invece Oreste Sinigallia, mobiliere di origini milanesi arrestato nel novembre del ‘43 e deportato ad Auschwitz.
Via dell’Aquila è la via parallela a via Monzermone, nella quale al civico 3/A si trova la Sinagoga maggiore, restaurata dall’Architetto Marchelli.
Nel dopoguerra il tempio danneggiato dai bombardamenti del ‘44 perse la sua funzione religiosa, venne utilizzato come tipografia e deposito biciclette.
Ad oggi la Sinagoga è utilizzata per mostre o eventi come ad esempio Fotografia Europea.
A fianco della Sinagoga, si trovavano anticamente anche il ricovero per forestieri ed indigenti, il forno e salendo all’angolo con la via Emilia la scuola di rito spagnolo.
Gli odori di cibo che escono dai locali, mescolati all’umidità, creano un’atmosfera veramente suggestiva che a me però mette un pizzico di malinconia.
Via della Volta è una via che mi piace molto per il voltone caratteristico, in prossimità di via Emilia, qui anni fa al civico 2/A c’era la rinomata Osteria del Ghetto.
Via Caggiati è tra tutte forse la via più buia, al suo interno vi è ancora qualche bottega storica di oreficeria, restauro di mobili e tipografia, molte botteghe però hanno chiuso da tempo e tutto ciò è veramente triste.
- Via San Pietro Martire, 14:
Arrivati sulla via Emilia da via Caggiati, giriamo a sinistra e imbocchiamo via San Paolo sulla nostra destra, l’attraversiamo e prendiamo via Berta, proseguendo per via San Pietro Martire.
Davanti all’incrocio, al civico 14 anticamente c’era la sede dell’Amministrazione dei numerosi beni sequestrati agli Ebrei.
A partire dalla primavera del 1944, vennero poste sotto sequestro tutte le imprese commerciali e i beni immobili, nonché le opere d’arte.
- Casa Dorina Storchi:
Proseguendo per via San Pietro Martire, attraversando corso Garibaldi, imbocchiamo a sinistra via del Portone.
Al civico 14, troviamo la casa di Dorina Storchi, partigiana combattente che dopo l’8 settembre del 1943, ospitò nella sua abitazione molti reduci dei campi di concentramento e tra questi anche una coppia di Ebrei.
Molti altri reggiani come Dorina, rischiarono la propria vita per salvare gli Ebrei perseguitati, nascondendoli nelle loro case.
Sull’Appennino reggiano, ci furono diverse famiglie che li accolsero e li nascosero.
Mi riempie di commozione e mi fa riflettere la frase detta da uno dei salvatori di alcuni Ebrei capitati in casa sua quando era un bambino, sentita nel trailer del documentario “Giusti” (di A. Mainardi e M. Durchfeld).
“La gente al giorno d’oggi usa la parola solidarietà come una cosa inflazionata, invece allora la parola solidarietà si usava proprio nei momenti giusti”.
Consiglio di vedere il film contattando la segreteria di Istoreco al sito internet sopra indicato.
Si conclude qui il nostro viaggio della memoria, in una città, la mia città che come tante altre in tutta Italia, ha convissuto e beneficiato per anni della cultura e dell’intelletto di un grande popolo, che proprio per la sua grandezza, ha attirato su di sé l’invidia e l’odio di quelle potenze che per secoli li ha perseguitati, depredati e uccisi.
Per il “Giorno della Memoria della Shoah” ho voluto dare un mio piccolo contributo scrivendo un articolo con riferimento a Reggio Emilia.
Venerdi 29 uscirà anche la storia del ghetto ebraico di Bologna che mi ha particolarmente affascinato.
Se avete trovato l’articolo interessante e volete condividerlo ne sarei felice, ditemi cosa ne pensate nei commenti.
6 commenti
Alixe
Articolo veramente interessante! Non conoscevo in modo così approfondito questa parte di storia di Reggio Emilia!
Giovanna
Grazie, si c’è tanta storia ignota un pò ovunque a mio avviso in Emilia, spero di riuscire a raccontarvela in maniera approfondita tutta! grazie per il tuo commento Alixe.
Layla
Grazie, ne conoscevo solo una parte, interessante per conoscere la storia della città,utile itinerario per visitare i luoghi da lei descritti..
Giovanna
Salve Layla si ho cercato di essere il più dettagliata possibile, quello di Bologna rimane uno degli ex ghetti più suggestivi dell’Emilia.
Carlos Oliva
Giovanna, este artículo es magnífico. El pueblo judío siempre ha sido menospreciado y tú en este artículo lo pones en su lugar. Para mí, que he conocido a varios, son dignos de admiración y más teniendo en cuenta que siempre han sido perseguidos. Bravo!!!.
Giovanna
Ciao Carlos, grazie dei tuoi numerosi complimenti, mi fà piacere che gli articoli siano di tuo gradimento. Un forte abbraccio.