Reggio Emilia Insolita: visita alla storica Azienda agricola “il Cavazzone”
Avete mai sentito parlare del Cavazzone?
Chi non è di Reggio Emilia forse non conoscerà questa location alquanto insolita a pochi km dalla città.
Ma fidatevi di me quando vi dico che c’è da rimanere letteralmente a bocca aperta trovandosi davanti all’abitato…
Vi sembrerà di essere arrivati in un paese nordico chissà dove!
In questo mio articolo cari amici Emiliani e Non, faremo un balzo nel tempo e conosceremo la storia articolata quasi come quella di Dinasty, di due famiglie che hanno contribuito a realizzare e mantenere in vita una delle location più suggestive dell’intero comprensorio reggiano.
Partendo dall’inizio potremmo citare uno dei protagonisti di questo luogo incantato, che pensate un po’ uscì per la prima volta dalla bocca proprio di mia nonna che a volte affermava in dialetto reggiano:
“Non sono il Barone Franchetti io!”
Questo sottintendeva il fatto che lei non era ricca e certe cose non se le poteva permettere…
Ed ecco dopo tanti anni scoprire, arrivando sulle colline reggiane e vedendo la dimora singolare, che il Barone Franchetti non solo esisteva realmente, ma che la sua facoltosa famiglia nell’800 era una delle 10 più ricche del Mediterraneo.
Se vi ho incuriositi continuate a leggere e vedrete che vi verrà voglia di vedere dal vivo questa location fiabesca.
Ma andando con ordine nell’articolo troverete:
- Nascita del Cavazzone e storia di due famiglie
- Cosa è possibile visitare oggi dell’Azienda agricola più insolita di Reggio Emilia
- Dove mangiare e soggiornare al Cavazzone.
- Come arrivare al Cavazzone
Nascita del Cavazzone e storia di due famiglie
Fra la Valle del Crostolo e quella del Lodola a circa 15 km da Reggio Emilia venne costruito nel 1878 un podere che divenne ben presto un borgo rurale completamente autosufficiente.
Il fautore di questo grande progetto che si estendeva per oltre 3000 ettari nei Comuni di Viano, Vezzano e Albinea, era un facoltoso commerciante, bancario, benefattore ebreo, il Barone Raimondo Franchetti.
Raimondo Franchetti era nato a Livorno, ma la famiglia aveva girato molto e si era arricchita estendendo i propri traffici commerciali a tutti i bacini del Mediterraneo.
Il nome Franchetti significa “piccoli francesi” la loro provenienza era documentata in Francia fino alla fine del 1400, anno in cui i Franchetti furono cacciati.
Valicando le Alpi arrivarono a Mantova diventando protagonisti della scena economica e intessendo rapporti con i Gonzaga.
Nel 1600 si spostarono a Livorno per questioni legate a riconoscimenti economici ma anche civili perché com’è risaputo gli ebrei si sono sempre dovuti difendere a livello identitario cercando di farsi benvolere.
In un successivo spostamento a Torino il padre di Raimondo venne insignito del titolo di Barone proprio da Cavour in cambio di prestiti economici.
I Franchetti erano anche proprietari della Vetreria di Venezia e dello stabilimento di Murano oltre che di prestigiosi Palazzi affacciati sul Canal Grande
Ma quindi perché arrivarono a Reggio Emilia?
Arrivarono sulle nostre belle e soleggiate colline seguendo il consiglio di un mediatore di cavalli che aveva parlato al neo Barone Raimondo di una zona nel reggiano dove realizzare una grande scuderia e allevamento di equini…
… ma appena Raimondo vide le nostre colline se ne innamorò a tal punto da costruirci la propria residenza estiva, costruì anche uno chalet privato in stile nordico per la moglie Sara Luisa Rotschild.
Di residenza ne costruì anche una in città, un palazzo signorile in zona Santo Stefano che ormai non esiste più.
Le enormi dimensioni del giardino, raggiungevano la cinta muraria della città, e dal quale salendo su di un elegante Gazebo di ferro e ghisa poteva scorgere in lontananza il suo amato Cavazzone.
Strettamente legati alla scena economica e politica di Reggio Emilia i Franchetti contribuirono anche nel lasciare un’impronta artistica forte per merito di Alberto figlio di Raimondo e compositore italiano talentuoso.
Alberto sposò Margherita Levi, ebrea nata a Reggio e proprietaria dell’amata Villa Levi.
La comparsa Eugenio Terrachini, colui che riuscì a salvare e a mantenere quasi intatto sia il borgo rurale che il Belvedere e lo Chalet del Barone, si ebbe proprio nel momento in cui Raimondo e la moglie pensarono di fare costruire vicino al podere un’Asilo infantile con annesso l’alloggio della maestra.
Fu proprio Eugenio, infatti, nonno dell’attuale proprietaria del Cavazzone, Mariacarla Sidoli Terrachini ha progettare e costruire L’Asilo per i bimbi dei mezzadri che nel borgo vivevano e lavoravano.
Eugenio Terracchini, imprenditore e ingegnere dal grande fiuto fu colui che nel 1919 acquistò il Cavazzone dagli eredi Franchetti, e salvò il gazebo Belvedere acquistandolo dai nuovi proprietari della grande villa cittadina che volevano demolirlo.
Poi indovinate un po’?
Lo fece smontare e rimontare al Cavazzone proprio vicino allo chalet del Barone, e inutile dire che le due architetture si sposano perfettamente!
La rigidità del ferro e ghisa addolcita dai riccioli e dai motivi del gazebo accostata ai colori caldi delle rifiniture dello Chalet del Barone creano un emozionante quadro.
E’ così che due incredibili famiglie, con una grande passione comune, sono riuscite grazie al denaro e al tanto lavoro, a restituirci un’ immagine particolare e insolita di questa eclettica dimora storica di Reggio Emilia.
Cosa è possibile visitare oggi dell’azienda agricola più insolita di Reggio Emilia?
La sensazione straordinaria che si percepisce arrivando oggi al Cavazzone a cento anni dal passaggio di proprietà dalla Famiglia Franchetti ai Terrachini è quella continuità di intenti e di abitudini che anche gli attuali proprietari hanno mantenuto.
Mariacarla l’erede del Cavazzone quasi tutti i giorni si reca sulle sue amate colline, ha mantenuto un forte legame con il luogo che sin da bambina frequentava insieme alla famiglia.
Il Cavazzone oggi non è più un’Azienda agricola che coltiva e produce alimenti come un tempo, l’unica produzione esistente è quella del Aceto Balsamico che riposa in botti poste in un grande fienile, e sono attivi ristorante e alloggi nei quali pernottare.
Inoltre all’interno della Tenuta se vi recherete in visita potrete visitare un suggestivo museo diffuso per tutto il borgo.
Vi consiglio infatti di compiere la visita a tutti i piccoli edifici accompagnati da un simpatico cartello con scritta dipinta a mano che indica la specializzazione di ogni singolo luogo, vi capiterà di trovare alcuni servizi che i mezzadri avevano in comune tipo:
Il Casello: che non era altro che il caseificio, dove veniva lavorato il latte munto nelle stalle dell’azienda agricola, ad oggi rimangono soltanto gli storici attrezzi che si posso ammirare, immaginando l’arte dei maestri caseari di un tempo.
La Cantina: con il cartello dalla Vigna al Vino (Al vèin e la vida) ci si immerge nel piccolo museo del vino del Castellazzo, fatto di tutti gli oggetti di uso quotidiano per la produzione di un vino che a fine 800 risultava essere un passito prestigioso di vendemmia tardiva.
La Bugadèra: anche detta “Lavanderia”… lavare molti panni richiedeva per le rezdore tanto lavoro ma era anche un modo per incontrarsi e scambiarsi pettegolezzi.
In una grande cesta si metteva il bucato cosparso poi di cenere e acqua bollente che veniva scaldata nel fogone ( grande erogatore di calore) posto nell’abitacolo stesso.
Ci voleva poi un intera notte perché l’antico metodo oggi sostituito dal più banale e sbrigativo detersivo facesse effetto, qui trovate una descrizione dettagliata del procedimento.
La Porcilaia: Luogo dove venivano tenuti i maiali, anch’esso contenente molti attrezzi di vita contadina e di uso quotidiano, al lato della quale è possibile notare una vecchia latrina comune tipo WC d’emergenza.
L’Acetaia: Al interno del nucleo centrale della tenuta, salendo una scala in ferro e ghisa che ricorda molto i decori del Gazebo Belvedere, si arriva nel fienile e ci si trova davanti ad un ampia stanza nella quale tante botti ordinatamente disposte fanno bella mostra di sé.
Ho visto diverse Acetaie ma questa per quanto riguarda le dimensioni e la quantità di botti e al momento la più estesa.
Il nucleo iniziale dell’acetaia realizzata negli anni 80 da Giovanni Sidoli, nipote di Paolo Terrachini e marito di Mariacarla, era di 4 batterie.
Le botti sono ancora produttive, proprietà delle famiglie Terrachini-Sidoli, ad oggi i barili di legno pregiati sono 250, e custodiscono il nettare legato alla cultura della nostra terra.
E’ possibile effettuare degustazioni ed acquistare in loco il prodotto tipico dell’azienda abbondantemente usato anche nelle preparazioni dei piatti del ristorante del Cavazzone.
La Ghiacciaia: Usciti dall’edificio principale e scese le scale dell’entrata al Ristorante tenendo la destra e percorrendo un sentiero ghiaioso si arriverà alla ghiacciaia, utilizzata per la conservazione di beni deperibili soprattutto nella stagione calda.
Sotto molti aspetti la realizzazione di questro locale refrigerato interno, antenato della catena del freddo, ha rappresentato nel XIX secolo una rarità, qualcosa di pionieristico non solo in territorio reggiano.
Oltre agli edifici sin qui descritti visitabili liberamente quando ci si reca al Cavazzone, assicuratevi solo della fruibilità del museo diffuso e della Ghiacciaia, sono da ricordare le stalle, i pollai, le scuderie ecc…
Le due attrattive che destano maggiore curiosità, davanti alle quali si rimane assolutamente rapiti: sono lo Chalet del Barone e il Belvedere, visitabili purtroppo in aperture speciali quali, le giornate FAI oppure eventi e cerimonie.
Lo Chalet del Barone:
A me personalmente, assai digiuna in fatto di architettura lo Chalet che veniva anche chiamato la “Capanna del Barone”, sembra una “Baita del Tirolo”…
In realtà, la deliziosa casetta con evidenti ascendenze nordiche, pare sia stata costruita ricordando il gusto imperial-regio di una struttura che gli ingegneri di Franchetti videro all’Expo di Parigi.
All’interno di questo piccolo gioiello con soffitti i boiseries e caldi arredi in legno, soggiornavano oltre al Barone Franchetti con moglie, anche il figlio Alberto e famiglia.
Il compositore, amava rintanarvisi per lavorare meglio, ad oggi passano qui le loro vacanze estive anche gli attuali proprietari, i Terrachini.
Sembra che a far visita ad Alberto fossero venute personalità del calibro di Mascagni e Puccini.
Se si passeggia sul retro della casa nell’ala Nord, si ode una sinfonia che vi accompagna beatamente nel giardino tra le sculture in cotto.
Provate anche solo ad immaginare la bellezza di uscire dalla porticina in legno e salire sul Belvedere al tramonto o durante un abbondante nevicata, per ammirare le belle colline reggiane.
Il Belvedere: Salendo da Albinea e compiendo le ultime curve che ci separano dal Cavazzone sarà inevitabile e alquanto sorprendente vedere spuntare la struttura bianca in ferro e ghisa di mirabile fattura, come d’altronde è successo a me quando l’ho vista per la prima volta.
C’è chi associa l’architettura del manufatto allo stile liberty, in realtà l’influenza è più quella della moda del secondo Ottocento (si pensi alla Tour Eiffel).
Di fatto il Belvedere salvato e ricostruito da Eugenio Terrachini, come spiegato precedentemente, era stato progettato da un certo Alessandro Sidoli (curiosa casualità trovare lo stesso cognome nel marito di Mariacarla).
Rappresenta sicuramente un simbolo di continuità tra le due famiglie e salire sulla piattaforma principale anche se più bassa, è veramente emozionante.
Vi invito a notare la lettera T in azzurro su bianco (colori rappresentanti i Franchetti), La T fu sostituita alla F di Franchetti da Eugenio Terracchini stesso.
Direi che non c’è molto altro da dire, a parte dove mangiare e soggiornare, il resto lascio che lo vediate con i vostri occhi.
Dove mangiare e soggiornare al Cavazzone
Be’ direi che la scenografia c’è tutta e anche se non ho provato la cucina, l’ambientazione della quale si trova il Ristorante è calda e avvolgente.
Trattasi delle vecchie stalle del Podere con volte a botte al soffitto, antichi colonnati in ghisa, e pavimenti in cotto.
La cucina è quella tradizionale reggiana, alcuni piatti sono impreziositi dall’aceto Balsamico di produzione dell’Azienda agricola.
Gli spazi sia interni che esterni sono ideali per l’organizzazione di cerimonie ed eventi.
Un’altra stalla della casa è adibita a sala conferenze.
E se si volesse pernottare nella magica atmosfera del Borgo, ecco che potrete dormire sonni tranquilli nelle stanze delle ex case mezzadrili nelle quali alloggiavano le famiglie contadine, trasformate in suites.
Le camere con arredi in legno scuro, coniugano il fascino del passato con il confort dei servizi moderni, sono 8 in totale e offrono tutte uno sguardo sulla pianura, includono un bagno privato, una TV e la connessione WiFi gratuita.
Come arrivare
In Auto: Dall’Autostrada A1 Milano-Roma uscire al casello di Reggio Emilia e seguire le indicazioni per Strada Statale 63 fino a Puianello, quindi voltate a sx per Albinea.
Giunti in paese, alla rotonda seguire per Casina-Regnano per circa 6 km.
In Treno: Fermata alla stazione di Reggio Emilia, da qui si può usufruire del servizio Taxi da Reggio Emilia in quanto sono zone scarsamente servite da Autobus.
L’Agriturismo si trova in via Cavazzone, 4- 42030 Viano (RE) / 0522 858100
Spero che questo mio articolo vi sia piaciuto, è stato bello scriverlo, se avete domande o dubbi su quanto detto scrivetemeli nei commenti, leggerò e risponderò volentieri.
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